Documento redatto dagli studenti dell'Università Ca’ Foscari sulla riforma della professione di assistente sociale
Venezia, 25 novembre 2011 - Parte 2
Ci sentiamo, inoltre, di avanzare a quest'ultimo la richiesta di incrementare il suo ruolo di agente attivo sia nell'organizzazione di momenti formativi autonomi che riducano il peso economico che spesso grava solo sulle spalle del singolo professionista, sia costruendo momenti di approfondimento che partano (ed incentivino) da esperienze di riflessione scaturenti da singoli e gruppi di professionisti o dall'ambito accademico.
Sul versante del metodo scelto per procedere ad una qualunque ipotesi di riforma, non riteniamo possibile (come paventato da Edda Samory) alcuna ipotesi che costringa lo studente che al momento della sua entrata in vigore abbia già intrapreso il percorso triennale, a modificare il proprio iter di studi passando obbligatoriamente dai tre ai cinque anni o, addirittura, pensare che chi ha già intrapreso la carriera lavorativa da meno di cinque anni, sia costretto ad integrare con due anni universitari, la propria formazione. Non è un'ipotesi sostenibile né sul versante economico (che per quanto sminuente sia, costituisce un elemento che pesa sempre più sulla scelta della durata del percorso di studi), né su quello organizzativo: la presenza di numerosi studenti lavoratori (spesso già impegnati nei settori più generici dell'assistenza e del sociale), e di professionisti già operativi che difficilmente potrebbero adattarsi a tale stravolgimento, costituisce una realtà che deve essere necessariamente tutelata.
Un altro elemento che ha riscosso la nostra attenzione è la proposta dell'Ordine di un "praticantato" per gli AS, una sorta di tirocinio retribuito quale elemento concorrente alla formazione.
Premesso che bisognerebbe comprenderne la collocazione (prima, durante o dopo il percorso di laurea...) e che è totalmente estraneo alla realtà pensare che un qualsiasi ente oggi possa pensare di pagare un praticante, è un' ipotesi, questa, che ci trova contrari perchè verrebbe ad essere nient'altro che l'ennesima forma di sfruttamento alla quale far sottostare chi si affaccia sul mondo del lavoro. Il settore del sociale (nella sua interezza e nelle specificità delle sue articolazioni) al pari di un qualunque altro contesto d'impiego nel privato come nel pubblico, vive un pesante attacco in nome della flessibilità che attraverso l'uso massiccio della formula interinale piuttosto che di quella del terzo settore o delle mancate sostituzioni del personale (pensionamento, maternità, malattia lunga etc.) crea profonde divisioni di inquadramento e di retribuzione tra i professionisti che operano all'interno dello stesso servizio o dello stesso ufficio. L'introduzione di una qualunque forma di praticantato (espediente peraltro già in voga tra altre professioni che produce vero e proprio sfruttamento ampiamente visibile e conosciuto da tutti) non farebbe altro che accentuare gli effetti di precarietà per la professione, garantendo ai Servizi piuttosto che ad un eventuale privato, manodopera a costo zero con il beneplacito dell'Ordine. Non riteniamo che sia questo quello di cui la professione abbia bisogno, soprattutto in una fase quale quella attuale. Capiamo e condividiamo, peraltro, la necessità di articolare maggiormente la formazione sul campo, di conoscenza dei Servizi ma anche di inserimento operativo dello studente, in modo da ridurre (per quanto possibile) il gap tra la formazione accademica e la professione.
Anche in questo senso, però, riteniamo si debba partire dall'esistente, cogliendo le opportunità che già oggi potremmo utilizzare. Due sono le proposte che ci sentiamo di avanzare: da un lato l'introduzione del tirocinio già dal primo anno, dall'altro un' organizzazione e una concentrazione dello stesso che permetta un periodo prolungato di inserimento del tirocinante nei servizi, senza quella soluzione di continuità infrasettimanale che si determina per la concomitanza con le lezioni del corso. Se diluire nel tempo l'esperienza del tirocinio consente di ampliare la permanenza quantitativa nel Servizio, limitarla a due/tre giorni alla settimana non ne facilita la comprensione dell'articolazione e la continuità nella valutazione della casistica: questa si fa sempre più ampia e complessa e necessita, giocoforza, di una presenza più continua per poter essere colta nella sua interezza.
L'autorevolezza e il ruolo di Edda Samory ci hanno indotto ad esplicitare le nostre considerazioni e preoccupazioni anche se, ad oggi, risultano essere solo relative ad un'ipotesi e una proposta. Non vogliamo, come troppo spesso accade, interpretare un ruolo passivo ed arrivare a giochi fatti, senza aver potuto esprimere la voce che viene dal primo gradino (non l'ultimo)della professione.
Auspichiamo che nel condividere queste osservazioni, esse possano servire da spunto per un dibattito più ampio che deve caratterizzare qualunque decisione inerente alla formazione. Nel proporre questo dibattito siamo stati mossi più dai contenuti espressi che dai tempi per l'approvazione della riforma che Edda Samory ha auspicato essere i più brevi possibili.
Ci siamo sentiti di dare voce alle nostre perplessità perchè consapevoli di appartenere ad una generazione professionale che si troverà sin dal principio a muovere i propri passi in un panorama di risposte ai bisogni storicamente inedito, nel quale all'abbondanza delle possibilità (non è vero che i soldi non ci sono : non ci sono per l'assistenza) fa eco un progressivo assottigliarsi delle risposte, per le quali il termine razionalizzazione è, in realtà, funzionale ad una selezione dei bisogni, ad una contabilizzazione dell'utenza classificata in base all'approssimarsi o meno alla soglia della sopravvivenza o della povertà.
Condividiamo tutte le spinte che contribuiscono a dare autorevolezza alla professione, che marcano la distanza da quell'immagine di "rammendatrici/rammendatori dal dialogo facile" che vorrebbe l' AS agente consolatorio del disagio ed esecutore passivo di politiche dei tagli. In questo senso ribadiamo la necessità, oggi più che mai pressante, di marcare l'autonomia di ruolo e pensiero dell'AS rispetto alle istituzioni nelle quali opera: il mandato non deve divenire motivo per chiedere all'AS di assumersi ruoli non propri della professione quali ad esempio quelli delle politiche del lavoro che, in una fase come questa, trasformano spesso i Servizi in succursali del centro per l'impiego.
Non condividiamo, invece, ed esprimiamo forte preoccupazione per quelle che rischiano di condurre ad una chiusura corporativista ed autoreferenziale.
Questo documento vuole essere un primo spunto per alimentare il dibattito tra studenti, Ordine e università da approfondire nei prossimi mesi durante i quali intendiamo organizzare iniziative di mobilitazione sui contenuti dell'ipotesi di riforma.
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Massimo Buciol 3282928933