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15 dicembre 2011

Lettera al CROAS Lombardia sulla riforma degli Ordini Professionali

  1. Ecco allora le proposte:
    1. è condivisibile la prospettiva strategica del ricondurre la possibilità dell’esercizio della professione a un percorso quinquennale e ciò in considerazione di due elementi:
      il così detto 3+2 in altri paesi comparabili con l’Italia è organizzato conferendo al tre una forte preparazione di base e al due un orientamento professionalizzante. In tal senso sono stato – lo ammetto con rincrescimento – tra i fans della formula; ma nel nostro sistema universitario è avvenuto il contrario: il tre è diventato professionalizzante, per cui non si sa bene cosa farsene del due che viene letto spesso nei vari curricola dei cdl come una sorta di compensazione di una preparazione carente in termini di management e aspetti amministrativo-giuridici.
      Come è noto, la laurea magistrale non è richiesta in nessun assetto normativo in ambito lavorativo, e serve ai fini di carriera come mero titolo di accesso per altre collocazioni per le quali è richiesta una laurea magistrale equipollente, o per poter accedere ai corsi di dottorato, titolo che è spendibile nel nostro paese solo se si intenda seguire la carriera universitaria; ovviamente ciò è possibile solo facendo parte di cordate che tengono insieme merito e privilegio, ovvero attraverso valutazioni comparative che hanno forma di concorso, ma sostanza di cooptazione. Essendo il ventaglio disciplinare della declaratoria di sps/07 coerente con il profilo di as inserito nel settore scientifico disciplinare sps/07 sociologia generale, o si è fortemente “supportati” dal docente nel cui giardino si è cresciuti, oppure sarà raro che un sociologo “generale” consideri un candidato dal profilo perfettamente coerente con la declaratoria del settore, e orientato naturalmente ai temi sostantivi del servizio sociale, “pienamente maturo scientificamente, risulta comparativamente in posizione di sicuro rilievo”. Spesso si legge nei verbali: “Malgrado il candidato sia prevalentemente impegnato nella soluzione dei problemi di intervento sociale, mostra una spiccata attenzione ai presupposti teorici della propria azione”, come se occuparsi di servizio sociale fosse considerata una diminutio della propria attività scientifica e di ricerca. Ciò posto, la questione non è l’accesso alla dirigenza in corso di carriera, ma il primo inquadramento nella dirigenza (e non nel comparto come nella Sanità) o nei livelli dei profili professionali). Con il 3+2 ciò non è perseguibile; la laurea a unico corso di cinque anni renderebbe possibile aprire negoziazioni utili a quanto auspicato. Quando fu istituita la laurea quadriennale sperimentale, si era andati avanti ed essa rendeva la professione paritetica a tutte quelle del vecchio ordinamento, per poi essere retrocessi: anche l’accesso alla dirigenza ancora una volta con il 3+2 rende ogni sforzo inane, in quanto il + 2 è un optional: si resta nel “comparto”. Ciò andrà fatto con tutti i provvedimenti del caso, per tutelare chi abbia incominciato il percorso formativo triennale e chi l’abbia già terminato; del resto quando si formò l’ordine degli psicologi e l’albo degli psicoterapeuti la situazione di tanta parte dei candidati fu sanata tramite disposizioni transitorie che videro i più vari e bizzarri curricola ricevere l’ammissione e essere sanciti “psicoterapeuti” ope legis;
    2. un secondo tema riguarda i tirocini svolti in corso di studi: una decisa virata in favore delle competenze richiede lo spostamento post lauream del tirocinio (stage) come avviene per molte professioni. Ciò non escluderebbe forme di frequenza di servizi, quali per esempio visite guidate, durante il cdl; lo spostamento della realizzazione dello stage dopo il conseguimento della laurea risponde a due aspetti: alla criticità del poter effettivamente affidare al laureato/a casi di intervento, cosa che oggi è precluso per legge, nonostante le sollecitazioni da parte dei vari cdl a promuovere una autonomia guidata del tirocinante; questi può solo collaborare, non cooperare. Il secondo aspetto riguarda la forte asimmetria tra tirocinante (che come tale si definisce in quanto non “ha la pratica” a fronte del suo tutor esterno che magari vanta trent’anni di professione) e tutor; se ciò che vale è la pratica e non le competenze che implementano prassi e quindi abilità, come anni fa asseriva Gianantonio Gilli, si apprendono tutti gli errori degli altri, ovvero la replica. Se si mettono in gioco competenze, allora si costituisce veramente un contesto di mutuo apprendimento (per parafrasare una locuzione tanto di moda, da una «comunità di pratiche» a una “comunità di prassi”). Spostare lo stage post lauream permetterebbe di fare interagire un professionista accreditato e un laureato con competenze certificate su un piano di maggiore parità, così da consentire uno scambio tra professione “reale” e nuove conoscenze e competenze che possono essere trasmesse. In tal guisa esisteranno due professionisti, posizionati diversamente per ruolo, ma pienamente responsabili nel percorso di apprendimento prasseologico. Ciò permetterebbe anche che lo stagista possa operare – in supervisione – autonomamente e non solo collaborare;
Luigi Colaianni
Responsabile interventi sociali Dipartimento Salute Mentale Fondazione Policlinico – Milano;
docente a contratto di materie sociologiche presso il cdl in servizio sociale UNIPD;
formatore accreditato presso il CNOAS.
Creation date : 2012-01-13 - Last updated : 2021-02-09

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