CAOS CALMO... O QUASI: contenere il senso di urgenza nei servizi sociali
Sospendere l’azione
L’agire precipitoso nulla ha a che fare con la reale urgenza dei problemi che gli operatori si trovano ad affrontare. O meglio con le modalità con cui gli assistenti sociali organizzano le risposte ai bisogni impellenti che arrivano al loro servizio.
I problemi urgenti, o meglio che appaiono improvvisamente, ci sono. Ma è necessario affrontarli pianificando il lavoro.
L’ipotesi è che il servizio sociale affronti i bisogni dei suoi utenti con prassi obsolete rispetto alla cultura odierna. Una società sempre più complessa richiede la costruzione di architetture organizzative sempre più sofisticate, modulate e consone alle nuove realtà sociali.
Solo servizi leggeri e flessibili possono reggere l’urto di una società che è in repentina evoluzione. Servizi rigidi e burocratici infatti non riescono a flettersi rispetto ai venti forti che sospingono negli uffici dei servizi sociali le conseguenze di un mondo che ha smarrito l’etica, la politica, la solidarietà... La realtà occidentale del ventunesimo secolo appare come un contesto travagliato dall’incremento migratorio, dall’aumento della popolazione anziana, dal calo delle risorse del welfare, dalla fragilità educative, dallo smarrimento dei confini familiari... E a questi problemi fa da complemento la difficoltà che gli operatori, cittadini di questo mondo, vivono nel reggere le differenze individuali, l’equilibrio tra autonomia e dipendenza, la diversità delle logiche che governano i servizi, la fragilità narcisistica degli esseri umani...
Bisogna allora rivedere le prassi che sostengono i servizi. Bisogna costruire inedite architetture organizzative.
Per bloccare la deriva è però necessario avere a disposizione del tempo. Solo la sospensione dell’azione apre alla riflessione, al dialogo a più voci, alla formazione condivisa, al confronto alla pari, allo studio solitario, all’aggiornamento comune, alla supervisione clinica, metodologica, relazionale, istituzionale...
Urge dunque il tempo per pensare, ricercare, procedere per ipotesi, rompere stereotipi, interrogare pregiudizi.
Incalza la necessità di definire un tempo che faccia spazio al raccontarsi, all’esplorare, al procedere dubbioso.
Necessita decidere che non si può rinunciare al tempo sospeso della riflessione che sa porsi domande senza darsi rapide risposte. C’è quindi bisogno di servizi che si permettano di sperimentare idee innovative, che mettano alla prova trasgressive risposte creative, che stiano in ricerca.
Occorre allora dedicare tempo a dei pensieri che non diano nulla per scontato.
Gli operatori sociali del terzo millennio sono di fronte ad un bivio che implica una scelta. Da una parte possono rimanere intrappolati nell’urgenza di un fare affannato, dall’altra possono inoltrarsi verso nuove prassi nell’esercizio della loro professione. Questa seconda strada implica prendersi cura dei propri stati emotivi, guardarsi nello specchio dell’anima, ascoltare i propri vissuti, aprire le orecchie al discorso altrui.
La formazione professionale diventa anche personale.
Quando l’assistente sociale esce dalla logica assistenziale, ormai in verità non più possibile per i problemi che si trova ad affrontare, entra inevitabilmente nell’esplorazione della vita affettiva degli utenti di cui si occupa. Perciò deve conoscersi bene in quanto è lui stesso lo strumento con cui opera nelle relazioni umane.
Lavorare sui mondi emotivi individuali, gruppali e sociali significa però uscire dall’agire scontato per incontrare nuove prassi di lavoro. Sono queste delle procedure capaci di dare nomi ai legami umani. E i vincoli affettivi hanno bisogno di tempo per passare dall’invisibile al rappresentabile.
Auspico allora una formazione al ruolo che sappia dipanare i vissuti che alimentano la fretta che attanaglia l’operatore sociale. Ipotizzo infatti che dietro alla foga si nasconda l’impossibilità di contenere da soli il dolore che tante storie di vita devastate, interrotte, dolorose e alla deriva lasciano nella mente dell’assistente sociale.
- Uscire dalla ripetitività
- L’arte del non fare
- Dal dolore al pensiero
- Una identità incerta
- Sospendere l’azione
- Solitudini esistenziali
- Cornici istituzionali
- Buone prassi
- Bibliografia
- Paola Scalari