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CAOS CALMO... O QUASI: contenere il senso di urgenza nei servizi sociali

Una identità incerta

L’identità professionale sostiene anche l’identità personale. Perciò il rischio che vivono gli operatori sociali che vogliono cambiare modalità operative è doppio: perdere il senso della pratica lavorativa e perdere la consistenza nella definizione di se stessi.
Se il pericolo è lo smarrimento identitario gli operatori sono giustificati quando evitano ogni trasformazione sentendosi gli unici paladini a difesa dell’umano esistere. Nessuno ama smarrire il senso di sé, del proprio valore, del significato della propria esistenza! E, seppure la strenua difesa dell’importanza che essi avvertono nell’entrare - fulminei - in campo per risolvere tutte le questioni, li conduce, intervento dopo intervento, ad un vergognoso senso di fallimento vanno compresi quando non accettano l’idea che, con azioni solitarie, ben poco è risolvibile.
Gli assistenti sociali per diventare "migranti" alla ricerca di nuove definizioni di sé hanno bisogno di un appiglio. La formazione può esserlo se condotta con la consapevolezza non tanto di dar luce ad ogni singolo caso, ma con l’intento di ridefinire ruoli e funzioni all’interno delle diverse strategie progettuali.
Se lasciato solo l’assistente sociale tappa falle che si riaprono in continuazione. E nel suo isolamento professionale invece di apprendere dall’esperienza si sente sempre più incompreso.
Si ritira, si isola e si riempie di rabbia. E la rabbia che lo pervade alimenta cattivi legami con se stesso, con i colleghi e con gli utenti. Sviluppa allora un lavoro frenetico per sfuggire a tutti i vincoli.
Il crollo della manutenzione dei legami tra operatori della rete lascia spazio alla mancata convocazione di chi deve affiancarlo. Se tutto si deve fare immediatamente non c’è tempo per ricordarsi di chiamare l’altro. E l’altro è negato.
E non è quello che tante volte fanno gli utenti non potendo sostare per costruire relazioni?
Quella che colpisce gli operatori che non vogliono cambiare la loro frenetica modalità di lavoro non è però una malattia individuale, ma è una malattia collettiva dovuta alla mancanza di luoghi dove decontaminare le loro menti dal contagio emotivo a cui sono esposte incontrando un’umanità sofferente.
Ci si guardi bene quindi dal pensare che è il singolo assistente sociale quello che non si ferma a pensare e si sposti lo sguardo sull’investimento finanziario e progettuale che viene predisposto dalle organizzazioni nei confronti di chi opera con le persone sconfitte, rotte, alla deriva.


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Creation date : 2008-09-14 - Last updated : 2009-12-20

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