Il periodo di prova
La durata della prova viene stabilita volta per volta dai giudici, tenendo conto anche della relazione dei servizi minorili. Il periodo viene determinato considerando, oltre che la gravità del reato, le esigenze del ragazzo e il modo in cui egli e la sua famiglia vivono il fatto penale. La prova non deve essere comunque una sofferenza per il minore, perché altrimenti egli la considera una vendetta per il reato di cui è imputato ed essa perde ogni valenza educativa. La durata dunque deve essere proporzionata soprattutto alla personalità dell’adolescente: se il tribunale, ad esempio, intuisce che un ragazzo ha possibilità di recupero, ma ha un carattere poco costante, fissa un periodo breve, per incoraggiarlo.
Durante il periodo di prova il progetto può essere sottoposto a delle modifiche, innanzitutto perché in esso c’è un tasso di aleatorietà che deriva dalla stessa condizione di evolutività del minore. Le caratteristiche dell’età adolescenziale sono quelle della mutevolezza, dell’instabilità, della relatività degli interessi. Da esse deriva una prima causa di variazione del progetto. Tuttavia il ragazzo non chiede mai che le prescrizioni contenute nel progetto siano cambiate, perché egli, se accetta di sottoporsi alla prova, prende sul serio il proprio impegno. Devono quindi essere gli operatori minorili a controllare con cura l’atteggiamento del ragazzo, per capire se la misura disposta è effettivamente utile per il suo recupero, o se sono necessarie delle modifiche. Altri motivi che portano ad una variazione del progetto derivano da fatti contingenti: per esempio, può darsi che inizialmente sembri sussistere una possibilità di lavoro per il minore, la quale, successivamente, viene a mancare, perché una ditta chiude. Le modifiche devono inoltre adeguarsi ai cambiamenti che caratterizzano la vita del ragazzo: se egli, durante il periodo di prova, è chiamato a svolgere il servizio militare, la prova non è sospesa, ma è valutato il suo comportamento durante l’esercizio di tale servizio. Infine può accadere che i soggetti che dovrebbero aiutare il minore durante la prova si dimostrino inadeguati nel loro compito: devono dunque essere cercati altri referenti grazie ai quali risocializzare l’adolescente. Questo fatto si verifica meno raramente di quanto si potrebbe credere, in quanto i ragazzi devianti spesso commettono dei reati proprio perché non hanno mai avuto dei validi modelli di riferimento. Da ciò deriva che gli operatori minorili devono essere estremamente comprensivi ed elastici nel valutare il loro comportamento, rendendo più frequenti gli incontri nei momenti di crisi e ricercando sempre nuove soluzioni per risolvere i problemi che essi incontrano nel corso di un cammino che, per loro, è estremamente arduo.
Espressione della adeguatezza e della flessibilità del progetto è la possibilità di un prolungamento del periodo di prova al di là di quello inizialmente previsto, ovviamente se questo è stato determinato per una durata inferiore a quella astrattamente fissata, come massima, per il tipo di reato per cui si procede e fino a concorrenza del relativo limite. Oggetto della decisione del giudice è infatti la valutazione della personalità del minorenne all’esito della prova e può accadere che tale valutazione richieda un periodo di ulteriore di osservazione rispetto a quello inizialmente stabilito. Ciò avviene soprattutto quando nel corso della prova ci sono stati degli alti e bassi: in presenza di essi, nonostante la contrarietà del pubblico ministero che si oppone a questo tipo di provvedimento, i giudici del tribunale stabiliscono un prolungamento per capire i motivi per cui il ragazzo non ha seguito le prescrizioni del progetto. Se la messa alla prova non ha esito positivo, spesso ciò avviene perché il minore non ne capisce il valore e gli effetti. Ma se il ragazzo non capisce questo, è veramente imputabile? A volte di fronte al diniego del pubblico ministero in ordine al prolungamento del periodo di prova, il giudice richiede un approfondimento della personalità del minore in ordine all’imputabilità: attraverso esso il tribunale cerca di capire se il ragazzo è in grado di comprendere tutte le conseguenze che l’atto da lui compiuto ha, non solo da un punto di vista sociale, ma anche per lui stesso.