L’immigrazione in Italia e in Europa:
Cause, caratteristiche, funzioni, prospettive (*)
2. Le cause permanenti delle migrazioni verso l’Europa (1a parte)
L’immigrazione nell’Europa occidentale, e in Italia in particolare, è stata presentata più e più volte come una transitoria emergenza, mentre non ha nulla di transitorio o di emergenziale. I quattro fattori che ne sono all’origine, infatti, hanno tutti un carattere permanente.
Il primo è costituito dalle disuguaglianze di sviluppo esistenti sul mercato mondiale, che fin dal suo sorgere, e per sorgere, ha funzionato come una fucina di disuguaglianze, oltre che tra classi, anche tra popoli e nazioni. Il colonialismo storico, che ha accompagnato la nascita del mercato mondiale, ha unito e insieme spietatamente gerarchizzato i diversi mondi da cui era composto il mondo prima che si affermasse il capitalismo. È questo il retroterra lontano, ma ancora oggi vivo e operante, dei presenti squilibri strutturali di sviluppo. Squilibri, che nell’attuale processo di globalizzazione i meccanismi della economia di mercato e le istituzioni finanziarie e militari che li assecondano e (in apparenza) li “governano”, hanno riprodotto in nuove forme, non sempre attenuate in confronto al passato.
Specie in America Latina e in Africa il colonialismo ha prodotto una devastante dis-accumulazione originaria, dovuta alla violenta appropriazione ed espropriazione da parte dei colonizzatori europei delle loro risorse naturali e produttive (prima fra tutte l’esuberante forza di lavoro). La divisione internazionale del lavoro che ne è poi seguita ha posto per secoli un freno permanente allo sviluppo dei paesi colonizzati, nella gran parte dei casi azzerando tanto le possibilità di una loro industrializzazione “spontanea” quanto, a maggior ragione, le chances di una industrializzazione completa. Nel secondo dopo-guerra, con l’acquisizione dell’indipendenza politica, per molti di questi paesi è parsa schiudersi la via di uno sviluppo un tantino più equilibrato e “auto-centrato”, ma a sbarrare di netto questa strada è sopravvenuta la crisi dell’indebitamento estero, esplosa in Messico nel 1982 e tuttora in corso in una molteplicità di paesi dominati4.
Se il colonialismo storico commerciale e industriale ha drenato immense ricchezze dalle colonie verso le nazioni colonizzatrici, il colonialismo finanziario (e termo-nucleare), che ne è ai nostri giorni l’erede ed usufruttuario legittimo, sta passando all’incasso le cambiali scoperte che i popoli colonizzati non hanno potuto fare a meno di emettere per tentare di uscire da una condizione di minorità materiale. In questo modo, il circolo vizioso messo in moto all’alba del sedicesimo secolo continua, con nuove modalità, a riprodursi. E questa riproduzione continua ad alimentare le migrazioni dai paesi poveri, impoveriti, ed indebitati (perché dominati) verso i paesi ricchi, su di essi arricchitisi nel tempo, e perciò dominanti.
Colonialismo e migrazioni internazionali verso l’Occidente sono in collegamento diretto tra loro, sicché si può esserne sicuri: fino a quando permarranno relazioni di tipo coloniale o semi-coloniale tra le nazioni del Nord e del Sud del mondo, è del tutto impossibile che gli attuali movimenti migratori cessino o si riducano; è prevedibile, semmai, il contrario.
Non si tratta, però, solo del rapporto tra Nord e Sud del mondo presi in blocco, come se fossero, e non lo sono, entità omogenee sul piano territoriale e sociale. C’è stato e c’è anche un “Sud” interno al Nord, interno all’Europa stessa, che ha prodotto e continua a produrre emigranti. Quasi il 30% degli immigrati in Europa occidentale proviene da altri paesi dell’Unione, e globalmente circa il 50% di essi proviene da paesi europei in senso lato (inclusi, cioè, quelli non comunitari). Un simile dato si deve al sovrapporsi di due differenti fasi delle migrazioni interne all’Europa: la prima, che va fino alla metà degli anni ’70, ha visto spostamenti di massa di lavoratori (contadini, braccianti e operai) italiani, greci, jugoslavi, turchi, dunque dai paesi europei del sud-est verso quelli del centro-nord; la seconda, che copre gli ultimi venti anni, vede crescere gli immigrati provenienti da altri paesi, neo-comunitari e non, dell’Europa dell’Est, investiti da processi di semi-colonizzazione. All’interno della medesima Europa dunque, a seguito del crollo dei regimi del “socialismo reale”, il Sud si sta allargando verso Est.
Ecco una delle novità più recenti (è recente?), ed è esattamente da queste due aree del mercato mondiale soggette in un grado o nell’altro a relazioni di tipo coloniale o neo-coloniale, che proverrà in futuro la grande massa degli emigranti verso l’Europa e l’Italia. Ne è prova proprio quanto sta avvenendo ad Est: i paesi che generano i maggiori contingenti di emigranti sono quelli più esposti ad Ovest, via guerra, via indebitamento, via politiche ultra-liberiste5, vale a dire la ex-Jugoslavia, l’Albania, la Moldavia, la Romania, l’Ucraina, mentre un paese quale la Russia, capace per un complesso di ragioni di instaurare con l’Europa occidentale un rapporto, se non proprio paritario, comunque meno squilibrato, continua ad avere nel complesso più immigrati che emigrati.
Ringraziamenti
(*) Questo saggio riprende, aggiorna, integra lo scritto “Gli immigrati in Italia e in Europa” comparso nel volume Educare diversamente (a cura di D. Santarone), Armando, Roma 2006. Ringrazio il curatore del volume e l’editore per avermi autorizzato a ciò.
Torna suNote:
4 | M. CHOSSUDOVSKY (2003). | su |
5 | In modo quanto mai appropriato un recentissimo studio di STUCKLER, KING e McKEE (2009) pubblicato on line il 15 gennaio scorso dalla rivista “Lancet”, mette in relazione il processo di privatizzazione delle imprese statali imposto dai mercati internazionali, negli anni ’90, ai paesi dell’ex-“socialismo reale” con l’esponenziale incremento (dal +50% al +300% nell’arco di pochissimi anni) della disoccupazione che ne è conseguito, e questo, a sua volta, con il pauroso balzo dell’indice di mortalità in questi paesi, quasi tutto concentrato tra i maschi in età lavorativa. Un milione, se non più, di lavoratori morti: questo il tragico bilancio della ondata di privatizzazioni impulsata nei paesi dell’Est Europa da Occidente. | su |
:: menu ::
- Una trasformazione epocale
- Le cause permanenti delle migrazioni verso l’Europa (1a parte)
- Le cause permanenti delle migrazioni verso l’Europa (2a parte)
- Qualche numero
- Un’esistenza fatta di duro lavoro e di discriminazioni (1a parte)
- Un’esistenza fatta di duro lavoro e di discriminazioni (2a parte)
- Discriminati, ma non certo rassegnati
- Postilla: Un salto di qualità (in negativo) delle politiche migratorie (1a parte)
- Postilla: Un salto di qualità (in negativo) delle politiche migratorie (2a parte)
- Bibliografia
A cura di:
Pietro BassoDocumento soggetto a copyright.