La coercizione e la riduzione in schiavitù
Differenti sono le modalità di coercizione utilizzate dalle differenti reti di sfruttamento. Il racket albanese presenta strategie di coercizione legate alla violenza, sia sessuale che fisica oltre che psicologica. Infatti, dai racconti delle ragazze fuggite allo sfruttamento, si evince che le tecniche utilizzate dai loro aguzzini per costringerle a prostituirsi ed assoggettarle a loro, sono spesso spietate e comprendono torture di ogni genere oltre a forme di controllo serrate.
«Coercizione e assoggettamento passano anche attraverso un controllo continuo e pervasivo del quotidiano, che invade ogni sfera di vita: tempo di lavoro, tempo di riposo, libertà di movimento, contatti esterni. Il controllo è rigidissimo soprattutto agli inizi, e si esplica in una presenza costante, anche se non necessariamente visibile, dello sfruttatore o delle persone appositamente delegate» (Abbatecola, 2005: p. 132-133)
Da parte degli stessi sfruttatori albanesi si notano differenze tra i trattamenti riservati alle connazionali "vittima-fidanzata", e quelli relativi alle ragazze dell’est, "vittima-merce". Nel primo caso, la violenza e le minacce sono le principali strategie coercitive che permettono il completo assoggettamento delle ragazze mentre, nel secondo, l’esistenza di un contratto tra vittima e sfruttatore rende meno necessario l’impiego della violenza perché prevede forme di spartizione dei guadagni. (Abbatecola, 2005: p. 133) Inoltre le donne dell’est sono meno soggette al ricatto perché la famiglia è lontana e spesso sconosciuta alla rete criminale. Meno violenti i metodi delle maman nigeriane, le quali basano il rapporto con le ragazze su una sorta di ambivalenza ricattatoria pseudo-affettiva. Le modalità coercitive sfociano nella violenza fisica solo quando le sfruttate si ribellano, cosa che peraltro non avviene frequentemente, in quanto il filo che lega queste ragazze alle loro maman è quello del debito, sottoscritto attraverso un vero e proprio contratto scritto o con i riti giugiù che hanno un forte impatto a livello psicologico su queste giovani donne. Questo tipo di assoggettamento psicologico è solitamente sufficiente a garantire l’obbedienza delle ragazze che si ribellano, solitamente quando arrivano nel nostro paese inconsapevoli di dover esercitare la prostituzione, cosa che peraltro succede ormai molto raramente, perché il racket nigeriano sa bene che una ragazza impreparata, che si è sentita ingannata e che, di conseguenza, non instaura con la maman una relazione basata sul rispetto e sulla riconoscenza, comporta il rischio di una possibile fuga.
L’esistenza del debito da pagare per riacquistare la libertà è sostanzialmente l’unico metodo di cui l’organizzazione nigeriana si avvale per garantirsi l’obbedienza delle ragazze, le quali godono di una certa libertà nella gestione sia del loro tempo libero sia di quello dedicato al lavoro.
«Una terza tattica consiste nell’adottare forme più blande di sfruttamento e nel concedere alle ragazze maggiore libertà, in modo da rendere la loro condizione maggiormente sopportabile» (Abbatecola, 2005: p. 96)
Un insieme di strategie dunque, che ha portato al successo la rete di sfruttamento della prostituzione nigeriana, che rappresenta anche quella con il minor numero di denunce.
- La tratta delle donne
- Il caso nigeriano: dalla tratta alla prostituzione
- Il caso dell'Albania e dei Paesi dell'est europeo
- La coercizione e la riduzione in schiavitù
- La legislazione internazionale ed europea
- La legislazione italiana
- Riferimenti bibliografici