Burn out: Il malessere lavorativo dell’assistente sociale italiano
Pare quindi scontata una discrasia in Italia tra "mandato professionale" (ruolo, valori ed abilità assunti dal gruppo professionale e generati dalla formazione accademica) e "mandato istituzionale" (ruoli ed abilità richieste dal mondo del lavoro, quasi sempre enti pubblici, e spesso determinati più dagli stereotipi culturali che dagli elementi di diritto). Occorre quindi definire se l’organizzazione del lavoro permetta l’esercizio della mission professionale dell’assistente sociale, e, se si, in che misura, ben focalizzando il collegamento tra il riconoscimento delle prerogative professionali dell’assistente sociale stesso ed il benessere lavorativo percepito da questo professionista; ciò induce infatti a riflettere su nozioni di qualità del lavoro, qualità non solo prestata (all’utenza, ma anche all’organizzazione) ma anche percepita dal lavoratore in relazione alla organizzazione stessa. L’accostamento qualità percepita-benessere vuole essere un ipotesi di connessione tra il benessere lavorativo (mi sento bene al lavoro) e l’azione percepita dal contesto (il lavoro mi permette di stare bene). Il lavoro dell’assistente sociale può diventare quindi un "dare" benessere perché l’organizzazione gli "restituisce" benessere (tramite il riconoscimento del ruolo, la condivisione di responsabilità, il coinvolgimento creativo nell’attività). Il benessere lavorativo dell’assistente sociale quindi riguarda in primo luogo la qualità del lavoro svolto e la soddisfazione percepita dal professionista nell’esercizio dell’attività; se pertanto sono finora più chiare le indicazioni che individuano con molta probabilità nell’organizzazione le principali cause del malessere, è opportuno approfondire ulteriormente il rapporto benessere individuale-modelli dell’organizzazione per quel che concerne il servizio sociale.
A dire il vero non ci sono molti studi sull’argomento, soprattutto se compiuti nel contesto italiano, se non una condotta nel 1998. (Borzaga, in "I° Rapporto sulla situazione del servizio sociale ", 2001, EISS Roma). Tale ricerca verifica le differenze e le relazioni tra i professionisti e le diverse forme organizzative del lavoro nel campo dei servizi alla persona indagando parallelamente sul senso di soddisfazione del lavoratore stesso . Le conclusioni stesse della ricerca di Borzaga lanciano un allarme sulla salute del dipendente pubblico in generale (e quindi dell’assistente sociale in particolare): egli è meno motivato, guadagna certamente di più del dipendente privato, ma è scontento delle condizioni di lavoro, si assenta più frequentemente ed apprezza in misura minore la "sicurezza del posto di lavoro", non è soddisfatto della propria organizzazione ed è più propenso a cambiare attività alla ricerca di una collocazione più gratificante.
Se quindi il benessere/malessere lavorativo dell’assistente sociale italiano è in stretta connessione al tipo di organizzazione, è ai livelli organizzativi che occorre intervenire per eliminare o ridurre gli elementi causanti malessere; si tratta quindi di permettere lo sviluppo di una maggiore soddisfazione lavorativa agendo sull’organizzazione, la quale deve consentire e non bloccare l’esercizio del ruolo professionale dell’assistente sociale. Si tratta quindi di intervenire sull’organizzazione del lavoro nel suo complesso al fine di modificare, in primo luogo, gli aspetti relazionali e motivazionali interni all’organizzazione che sembrano essere la vera causa del basso livello di soddisfazione complessiva. Si tratta poi di effettuare tutti i riconoscimenti (di ruolo, di autonomia) che permettano a questo professionista l’esercizio della sua professionalità, in primo luogo agendo sui meccanismi interni di sovrordinazione/subordinazione.
Se quindi nel caso del servizio sociale italiano l’assistente sociale e l’Ente Pubblico tendono ad avere missions differenti, è proprio attorno a questa inconciliabilità che può essere letto il malessere di questo professionista; questa inconciliabilità produce sul lungo periodo due conseguenze, vale a dire da una parte malessere diffuso e conflitti potenziali, con conseguenze estreme sulla salute del lavoratore con sintomi collegabili al burn-out e dall’altra dissonanza cognitiva iniziale e successivo "adattamento" comportamentale e di atteggiamento del lavoratore in questione rispetto a quanto richiesto dalla Organizzazione.
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