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Il punto di non ritorno

Per i ragazzi nati in Italia da genitori stranieri, invece, la situazione è molto diversa nella misura in cui conoscono l’Italia come unico luogo in cui vivere e l’italiano, spesso, come unica lingua da parlare. Questi ragazzi non provano quel sentimento di nostalgia per il passato, per una condizione perduta, per un paese abbandonato, ma conoscono solo il presente della loro condizione. Eppure, spesso, anche loro hanno chiaro un momento preciso di "attraversamento", anche loro parlano di un "prima" e di un "dopo" che non è il "prima" del paese d’origine o il "dopo" del paese ospitante, ma il passaggio dall’omologazione al gruppo dei coetanei ad una condizione di estraneità, in cui l’adolescente diviene spesso, agli occhi degli altri, straniero.

Esiste nelle biografie dei ragazzi di seconda generazione un punto di non ritorno, la scoperta improvvisa e pervasiva di essere diversi. Twine (Twine F.W., 1996) parla a questo proposito di boundary events (eventi di confine), episodi che si configurano come riferimenti blandi ad una differenza, sotto forma di una domanda o di uno sguardo compassionevole, oppure come veri e propri insulti razzisti, a scuola, per strada, sui mezzi pubblici e che minano la stima di sé, condizionando l’identità di chi sta crescendo e registra con particolare sensibilità il giudizio delle persone intorno. "Cammino nell’atrio della scuola" la gente cammina accanto a me, affollando i corridoi. Sono una di loro. Mi vesto come loro, parlo come loro, persino impreco per essere dura con loro. Sono coinvolta nella scena, presa nel gesticolare da dodicenne. ‘P-A.K-I’ qualcuno grida" Per me si è fermata la scena "Mi muovo tra gente bianca, seguendo solo i gesti. Mi sento come se qualcuno mi avesse scoperto. Gli occhi sono tutti puntati su di me adesso. L’intruso è stato identificato"(Handa in Rajiva M., 2005).

L’esempio di questa ragazza canadese di origine pakistana è particolarmente incisivo: parla la stessa lingua dei suoi coetanei, frequenta la stessa scuola, indossa gli stessi vestiti, ascolta la stessa musica, ma da un preciso momento in poi viene identificata come straniera, come un intruso rispetto all’ambiente in cui è nata e cresciuta. L’episodio razzista, il fatto apparentemente innocuo di essere chiamata con l’appellativo "paki" (pakistana), segna lo svelamento di una condizione di alterità che accompagnerà la sua esistenza. "I soggetti di seconda generazione sono coscienti, già molto giovani, di essere ‘diversi’. Rischiano quindi di sviluppare un’identità personale negativa, nella misura in cui si accorgono che, anche se cercano in tutti i modi di appartenere alla maggioranza, saranno sempre considerati, più o meno, persone venute da altrove [...], stranieri sul proprio territorio" (Rajiva M., 2005).

La scuola, il quartiere, la città nel suo complesso sono i luoghi in cui viene registrata questa differenza. La città diventa così nell’immaginario dei ragazzi l’intreccio di questi sguardi, benevoli o diffidenti, che accompagnano la loro crescita: sguardi impressi nella memoria che hanno il potere, forte, di condizionare e a volte definire l’identità di chi sta crescendo. Qualcuno racconta di essersi accorto di essere diverso il giorno che è stato spinto giù dall’autobus, a motivo della sua pelle scura o il giorno in cui qualcuno a scuola gli ha fatto trovare sul diario insulti e minacce, facendo riferimento alle sue origini. Sono definite in letteratura "minoranze visibili", perché sono gli sguardi degli sconosciuti a individuare e mettere in evidenza il loro carattere di minoranza.

Le reazioni dei ragazzi sono molteplici: evitare di prendere quell’autobus che ricorda la paura e la desolazione di un episodio oppure cercare un ambiente in cui ci sono persone che condividono la tua condizione di "straniero", professano la tua religione o portano nel sangue la stessa origine etnica. Il proprio quartiere pụ divenire un posto da cui scappare se attraversato da sguardi minacciosi; la palestra un luogo inospitale in cui non ci si trova più a proprio agio; la scuola un ambito chiuso in cui la propria singolarità non viene valorizzata; la discoteca uno spazio proibito in cui non si può entrare se si è diventati, un giorno, stranieri. Il rischio più grande è, in questi casi, la chiusura nelle proprie case, la paura della città come ambito da cui proteggersi, in un’esistenza privata, in un’etnicità ritrovata o nata dal nulla per evitare di sottoporsi a un giudizio esterno.



A cura di:
Anna Granata
Elena Granata

Articolo già pubblicato su Animazione Sociale n.11, Novembre 2007

Creation date : 2008-03-15 - Last updated : 2010-01-31

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