Una molteplicità di sguardi e culture
Una molteplicità di sguardi e culture. Per i ragazzi di origine immigrata abitare una città comprende la possibilità di transitare da un interno ad un esterno senza essere sopraffatti dallo spaesamento e dal timore, di potere avere una rete di punti di riferimento, luoghi, amicizie, spazi di incontro. Spesso nel paese d’origine questa possibilità è data dalle circostanze, dalla rete dei familiari, degli amici di famiglia; nel posto piccolo hai l’approdo assicurato oppure ce l’hai dove sei molto radicato (rete amicale e parentale, una città con funzioni chiare). Spesso l’esperienza d’immigrazione presenta il rischio di avere solo un interno, nel quale rifugiarsi e un esterno anonimo.
Allora soprattutto per le seconde generazioni questo diviene un problema rilevante. La prima generazione può non averne esigenza, stretta tra i ritmi del lavoro, i vincoli di eventuali comunità o di condizionamenti culturali del paese di provenienza.
La connotazione etnica degli spazi, l’esistenza di una economia etnica visibile, suscita rimandi molto diversi nella sensibilità dei padri e in quella dei figli. La generazione dei padri (e delle madri) ha esigenze di radicamento, non fa economie di risorse, le usa senza risparmio, anche la propria differenza culturale può divenire una risorsa da utilizzare per sopravvivere.
In questa prima fase anche l’accentuazione di caratteri etnici è funzionale al proprio radicamento: l’apertura di un ristorante etnico, ad esempio, è resa possibile dalla presenza di reti familiari di supporto, da una comunità; il ristorante è l’impresa economica che consente alla famiglia di vivere nel contesto ospitante, di mantenere una casa, di mandare i figli a scuola; il ristorante struttura e organizza tutta la vita della famiglia, il tempo libero e il tempo del lavoro, le relazioni e i contatti con amici e parenti; il ristorante, infine, diviene anche un luogo complesso che facilita gli scambi, l’incontro con i connazionali, il mantenimento e la visibilità di tradizioni e culture (momenti di festa, anniversari), al contempo suscita la curiosità dei residenti, crea un ponte con la popolazione autoctona o diversamente sospetto e preoccupazione.
La generazione successiva, quella dei figli, si trova in una situazione radicalmente differente: ha compiuto un percorso scolastico, ha preso in certo modo distanza dalla cultura di cui i padri sono portatori o l’ha fatta sua, reinterpretandola; in ogni caso, è portatrice di una molteplicità di sguardi e di culture.
Sumaya, giovane marocchina, accompagna mal volentieri la madre al mercato di Porta Palazzo, non perché sia in opposizione con la cultura d’origine, né con la fede che le è stata trasmessa, ma perché conosce la fatica a cui la madre è sottoposta quotidianamente, gli stenti che la sua famiglia ha affrontato nei primi tempi d’arrivo in Italia. Quel mercato, colorato di spezie e di volti le ricorda quella fatica, una fatica dalla quale vorrebbe fuggire. Sumaya rappresenta ancora una generazione "di frontiera", stretta tra la cultura e il mondo dei genitori e la possibilità di guardare indietro alla propria cultura e tradizione d’origine con partecipe distanza.
- Appunti sui percorsi dei ragazzi di origine immigrata
- Tra due appartenenze
- La definizione di mappe cognitive
- Una dimensione simbolica e affettiva
- Esperienze di attraversamento
- Il punto di non ritorno
- Un quotidiano esercizio di traduzione
- Lo spazio dell’abitare
- Una molteplicità di sguardi e culture
- La pluralità delle appartenenze
- Pratiche di reinvenzione
A cura di:
Anna GranataElena Granata
Articolo già pubblicato su Animazione Sociale n.11, Novembre 2007