L’accesso al sociale: da individuo/utente a cittadino/persona
«Una grande rivoluzione nel carattere di un solo uomo permetterà di realizzare un cambiamento nel destino di una nazione e condurrà infine a un cambiamento nel destino di tutta l’umanità...»
D. Ikeda - Filosofo buddista
La partecipazione e la sussidiarietà
Prima di volgere a delle conclusioni vorrei dare solo dei cenni ad un altro importante modello che ha molto a che fare con il passaggio da utente a cittadino e da individuo a persona.
Parlo del principio di sussidiarietà entrato di diritto nella modifica del Titolo V della Costituzione all’articolo 118. Senza fare approfondimenti culturali e normativi, noti sicuramente a tutti, vorrei sottolineare quanto una piena attuazione operativa di tale principio enfatizzerebbe il ruolo delle persone come cittadini partecipi, che sa mettersi insieme, lavorare e auto-organizzarsi, creare la "Comunità", caratterizzata soprattutto da reciprocità, un modello che non dà la precedenza al privato, per poi lasciare che il pubblico subentri quando il privato non ce la fa, ma che invece conserva al suo interno un’idea di promozione, specialmente da parte del pubblico, di responsabilità diffuse e di auto-organizzazione.
Stiamo parlando di cose che richiedono l’ausilio anche di altre politiche, perché la politica sociale non può intraprendere questo percorso da sola, però è una realtà da approfondire.
Molto interessante appare il contributo di una Personalità non propriamente dedita alle politiche di welfare, ma che ha dimostrato una forte attenzione alla persona, soggetto principale del nostro contributo. Parlo di Giovanni Paolo II che ebbe modo di dire che le politiche sociali hanno registrato eccessi ed abusi che hanno provocato molte critiche e che lo hanno trasformato in Stato assistenziale. Le disfunzioni e i difetti dello Stato assistenziale dipendono da una inadeguata comprensione dei compiti propri dello Stato che ha portato a non rispettare il principio di sussidiarietà. Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, si provoca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, più che dalla preoccupazione di servire le persone, con enorme crescita delle spese.(Giovanni Paolo II, 1991)
Pare di cogliere che questo pensiero ci presenti un sistema articolato della società attuale con una quarta dimensione che oltre Stato, Mercato e terzo settore-privato sociale, i mondi della vita quotidiana (mondi vitali di Ardigò), dove operano le famiglie e le reti informali di sostegno che rinforzano e potenziano sia i soggetti che la comunità. (Colozzi, 2007)
Lascio come domanda e riflessione, se esiste (come sembra esistere...) la possibile difficoltà attuativa del principio di sussidiarietà - per sua natura "libero" e informale, fatto di rete e di reti con riferimento ad un modello personalista - rispetto alla costruzione di un sistema integrato di servizi che sta alla base della riforma del welfare in Italia che presuppone una certa rigidità e un modello funzionalista.
Conclusioni
Nonostante le recenti normative, almeno a livello italiano, il sistema di politiche sociali legato al modello di welfare state è effettivamente in crisi, ma per una serie di ragioni, alcune delle quali interessano tanti stati nazionali, mentre altre si sono evidenziate maggiormente in alcuni paesi ed hanno, quindi, un carattere peculiare.
Alcuni fenomeni di crisi sono la globalizzazione, i cambiamenti demografici, le nuove immigrazioni, le nuove e vecchie povertà e nuovi "paradossi", allentamento dei legami parentali, sparizione dei rapporti di vicinato, riduzione delle reti amicali.
Nella logica riparativo - prestazionistica, cioè la predisposizione degli interventi dopo che si è manifestata il problema, tipica del welfare, il crescere di questi fenomeni tende a indurre un continuo aumento delle spese per nuovi servizi, che molto spesso dimostrano di non essere in grado di risolvere i problemi. In altri termini, si potrebbe dire che di fronte al modificarsi della fenomenologia dei bisogni, il modello tradizionale di politica sociale mostra utilità marginali descrescenti, cioè un saldo costantemente negativo fra costi e benefici. (Colozzi, 2007)
Un altro elemento che forse spesso dimentichiamo che il nostro contesto è ormai plurale: viviamo in una società complessa, non più univoca con intrecci di valori, culture, religioni, civiltà. Allora quale modello, riferimento culturale?
Il sociologo Edgar Morin ha avvertito, sicuramente insieme ad altri pensatori, il pericolo di un "sociocentrismo occidentale". Egli, sicuramente, si riferisce alla globalizzazione (che ama chiamare società-mondo, terra-patria) e della sua pericolosa pretesa di "occidentalizzare" il mondo, confondendo l’occidente con "la" civiltà, mentre vediamo la profonda crisi sociale, economica e valoriale del modello occidentale di sviluppo. Occorre un nuovo modello di riferimento. Ma quale?
Nella situazione attuale multi-culturale e multi-etnica non è più tempo di modelli rigidi e di primazie dannose e impoverite. Quindi il dialogo non può più essere un "optional", ma si impone come necessità, come mezzo per lanciare ponti, per annodare fili spezzati, riaccendere una comunicazione interrotta, ravvivare l’interazione. (Vera Araujo, 2003)
Ma anche nel più specifico campo delle politiche sociali occorrono altri riferimenti altri paradigmi. In rapida sintesi e gettati solo come i sassolini di Pollicino, nel tentativo di trovare qualche strada possibile, vorrei porre alcuni spunti.
- uno sforzo congiunto di accertamento degli stati di bisogno e dei programmi di intervento coordinati e condivisi tra i 4 livelli (Stato, Mercato, non profit, reti informali);
- orientarsi ad una politica dei servizi più decentrata e partecipata dal basso, in uniformità con la tendenza di farlo anche a livello politico ed amministrativo mitigando un welfare a forte centralismo burocratico;
- ritrovarsi il gusto perduto del bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti;
- ricorso a nuove tecnologie informatiche e di media, potenziando la partecipazione e il ruolo di controllo dei cittadini.
- Ridefinire le politiche sociali orientandole ai servizi alla persona nel suo contesto familiare e lavorativo, ma soprattutto tenere conto dei principi dello sviluppo sostenibile;
- definizione di un modello di intervento che vede quali principali attori sociali i cittadini enfatizzando una responsabilità sociale
- risanare fattivamente le disuguaglianze nell’accesso sociale;
- definire e dare esigibilità i livelli essenziali di assistenza;
- misurare per valutare le politiche e i servizi alle persone non solo come esercizio statistico ma come effettiva programmazione di interventi "sentiti" e necessari;
- impegni di servizio e nuove vie per la non sempre risolta integrazione professionale;
- guardare in tutti i termini possibili alle gravi sfide della non autosufficienza di fronte alla crescita della popolazione
- valorizzare non solo le responsabilità professionali ma anche quelle di ogni persona coinvolta nel processo di aiuto (Vecchiato, 2007).
- Rispondere alla domanda di costruzione di vita di relazione, educazione e crescita dei figli
- gestire la continuità familiare tra rapporti di genere, genitorialità, figliolanza
- dare significati più espliciti alle richieste di senso, di valore e di etica.
Abbiamo voluto proporre un’ottica che parta dalle relazioni: tra i soggetti, così come tra le "soluzioni" ed i "problemi", in una dimensione relazionale. Il riconoscimento di questa dimensione relazionale, porta con sé il riconoscimento di una pluralità di soggetti agenti nella realtà sociale e l’acquisizione della nozione di reciprocità come "nuovo" paradigma, nuovo elemento dell’agire e del lavorare nel sociale.
Bibliografia
- Alessandro Pompei e Tiziano Vecchiato (2001), Informazione e servizi: il segretariato sociale, in «Studi Zancan», n. 5-6, Padova.
- Intervento di Flavia Franzoni al convegno La partecipazione connessa Le politiche di welfare nell’era della loro riproducibilità tecnica - Roma 23 marzo 2006
- Andrea Banchi Lo Sportello Unico. Garanzia di accesso ai Servizi Sociali e Sociosanitari. Un Progetto Sperimentale, Anci Servizi, Roma
- Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003
- Luigi Gui (2003), Comunità, territorio, zona: il servizio sociale si riconiuga, in «Sociologia Urbana e Rurale» fascicolo 71
- Donati P., Colozzi I. (2006), Il paradigma relazionale nelle scienze sociali: le prospettive sociologiche, Edizione Il Mulino, Bologna
- Adorno, Minima Moralia. Meditazione della vita offesa, Torino, Einaudi, 1979
- Campanini, Servizio sociale e sociologia:storia di un dialogo, LINT, Trieste 1999
- Donati P., Nuove tendenze della politica sociale e loro implicazioni sul lavoro sociale negli anni ’90: l’operatore sociale come "guida relazionale di rete", in Villa F. (a cura di), Social Work Education, Vita e Pensiero, Milano, 1991, pagg. 11-58.
- AA.VV. (2005), La persona al centro nel servizio sociale e nella società: il contributo di Elisa Bianchi, Fondazione Zancan, Padova
- Giovanni Paolo II (1991), Enciclica Centesimus Annus, par. 48
- Ivo Colozzi (2007), Il welfare e le politiche sociali in Italia, CEI, Roma
- Introduzione
- Il percorso di una riforma
- Quale informazione?
- Informazione e ascolto
- L'evoluzione del grado di accesso
- Bisogno relazionale
- Cittadino/persona?
- Rispetto
- La partecipazione e la sussidiarietà
- Conclusioni
- Bibliografia