Per un servizio sociale trasformativo: approccio dell’agency e narrazione
Verso un servizio sociale trasformativo
Tale processo di trasformazione epocale richiede una nuova declinazione del servizio sociale come prassi operativa disciplinata - al pari di altre professioni che si muovono in un ambito di produzione discorsiva - e uno sforzo di formalizzazione che permetta di definire in maniera stipulativa, ma anche univoca il suo oggetto cognitivo e performativo e quindi l’obiettivo operativo proprio della professione. Secondo il modello dell’organizzazione dell’azione (professionale) siamo in sua presenza quando siano contestualmente presenti:
- un sistema definito di ruoli;
- almeno un obiettivo "terzo" (ovvero indipendente dalle definizioni individuali);
- un sistema di risorse (economiche, cognitive, finanziarie).
Quanto più definito appare l’obiettivo-terzo, tanto più semplice sarà la collocazione nel ruolo del professionista, tanto più la matrice organizzativa produrrà efficacia. Il ruolo della formazione, ad esempio, è proprio quello di formare le competenze di ruolo - definite come tutto ciò che rende possibile al professionista di anticipare scenari possibili, ma che non sono ancora dati - che permettano a questo di collocarsi (o di ri-collocarsi) in esso. Le così dette "capacità" appaiono in questo approccio solo ancillari alle competenze e comunque non sono trasferibili: esse guardano al passato e possiamo definirle come tutto ciò che si è appreso nell’esperienza ed appare individuale; le competenze, invece, guardano al futuro e sono trasferibili come aspetti esclusivi del ruolo specifico. Per definire il ruolo professionale in modo tale che sia comune a tutti i professionisti, bisogna guardare non alla "percezione" della identità professionale, bensì alla formalizzazione dell’oggetto cognitivo e dell’obiettivo "terzo". Se questi appaiono poco o affatto definiti, poiché l’azione non sopporta il vuoto, ciascuno farà fronte a tale carenza con le proprie teorie personali ed individuerà obiettivi virtuali, quindi differenti da operatore a operatore; all’identità di ruolo - una eguale per tutti, come appare evidente p.es. nel caso dei medici - subentrerà allora l’identità personale e quindi non si farà più riferimento alle competenze, bensì alle mere capacità, ovvero a quanto fa parte della propria singolare esperienza. Conseguentemente risulta critico potere confrontare le prassi ed anche il linguaggio professionale diventa ambiguo e polisemico (pensiamo ai concetti di "disagio", "bisogno", "risorsa").
Altre professioni ascritte tra le professioni di aiuto - sia pure cliniche, come la medicina e, in tempi più recenti, la psicologia clinica - hanno compiuto questo percorso che permette ai professionisti una rapida condivisione di termini, linguaggio e definizioni. Il servizio sociale, invece, anche se appare di più antica nascita, rispetto p.es. alla psicologia (il primo assetto formativo degli psicologi in Italia risale appena all’inizio degli anni settanta), d’altra parte non ha potuto disporre negli anni passati di una condivisa definizione del proprio assetto epistemologico e paradigmatico e questo anche a livello internazionale.
Per un servizio sociale trasformativo
- Introduzione
- L'idea di azione in Hannah Arendt
- Le "capabilities" secondo A. Sen e M. Nussbaum prima parte
- Le "capabilities" secondo A. Sen e M. Nussbaum seconda parte
- Unitarietà del soggetto e consapevolezza, ovvero dell'ambiguità del soggetto
- Consapevolezza e «modernità liquida»: la forma dell'acqua
- Verso un servizio sociale trasformativo
- L'oggetto del servizio sociale prima parte
- L'oggetto del servizio sociale seconda parte
- La necessità di uno scarto paradigmatico: l'approccio discorsivo
- Un modello per la pratica
- I vantaggi derivanti
- Conclusioni
- Bibliografia
- Note di testo