Un Compito Emergente per il Servizio Sociale: la Cooperazione Decentrata
«Il diritto allo sviluppo è un diritto inalienabile dell’uomo in virtù del quale ogni essere umano e tutti i popoli hanno il diritto di partecipare e di contribuire ad uno sviluppo sociale, economico, culturale, politico - nel quale tutti i diritti dell’uomo e tutte le libertà fondamentali possano essere pienamente realizzati - e di beneficiare di questo sviluppo»1
Nell’epoca della rivoluzione digitale, oltre un miliardo di persone al mondo vive, o meglio cerca di sopravvivere, al di sotto della cosiddetta "soglia di povertà". In antitesi le moderne società occidentali si caratterizzano per il livello di benessere raggiunto e per le ottime condizioni di vita. La convinzione che questa disparità sia di fatto un’ingiustizia, così come la consapevolezza che, per rendere il mondo più giusto e sicuro, ci debba essere una più equa ripartizione della risorse per garantire a tutti le stesse possibilità, sono alla base della nascita e della crescita della Cooperazione Internazionale allo Sviluppo dalla fine della seconda guerra mondiale.
La prima distinzione formale e opposizione radicale tra Paesi sviluppati e Paesi sottosviluppati2 fu introdotta, il 20 gennaio 1949, dal presidente degli Stati Uniti Harry Truman, con il "Programma del Quarto Punto". I presupposti ideologici della prassi, che iniziava a mettersi in moto, si fondavano sulla convinzione che qualsiasi paese potesse e dovesse percorrere quelle stesse tappe di sviluppo già sperimentate dagli Stati Uniti. Per di più la concezione di sviluppo si appiattiva e si esauriva nella crescita economica e nella modernizzazione del paese e gli aiuti, inoltre, venivano identificati in investimenti destinati ad una rapida industrializzazione. Tale visione del progresso ha posto dei limiti che hanno afflitto per lungo tempo i metodi tradizionali della cooperazione e sono tutti riconducibili ad una radice comune: il difetto di partecipazione effettiva della maggior parte della gente ai processi di sviluppo.
I principali modi in cui si manifesta il difetto di partecipazione sono:
- il centralismo, il quale prevede che tutte le decisioni importanti vengano prese in pochissime sedi centrali senza il coinvolgimento dei soggetti locali, pur riguardando un gran numero di persone che vivono in aree lontane e diverse tra loro;
- l’assistenzialismo, che consiste in interventi promossi per alimentare la dipendenza e la passività dei beneficiari, piuttosto che per valorizzare e formare le loro capacità.
L’evoluzione del concetto di sviluppo negli ultimi cinquant’anni, volta a superare tali limiti, ha originato la rivisitazione critica dello schema tradizionale della cooperazione allo sviluppo, identificando una nuova modalità di intervento: la Cooperazione Decentrata. Quest’ultima, codificata inizialmente nella Convenzione di Lomé del 1975, afferma il principio dell’uguaglianza dei partners della cooperazione tra Paesi del Nord e del Sud del mondo, nel rispetto della sovranità e del diritto di ciascuno a determinare le proprie scelte sociali, politiche, economiche e culturali. Questo accordo trova, però, specifica menzione e disciplina nella sua revisione, compiuta nel 1995, con riferimento alle risorse finanziarie aggiuntive, ma anche con riferimento alla partecipazione e al coinvolgimento delle popolazioni, all’accrescimento delle capacità individuali e al decentramento istituzionale.
Per cooperazione decentrata, pertanto, si intende una azione di cooperazione allo sviluppo svolta dalle Autonomie locali (Regioni, Province, Comuni), singolarmente o in consorzio tra loro, attraverso il concorso delle risorse della società civile organizzata presente sul territorio di relativa competenza amministrativa (Università, Sindacati, ASL, piccole e medie imprese, imprese sociali). Più in particolare gli obiettivi perseguiti dalla cooperazione decentrata sono:
- mobilitare le popolazioni tenendo conto maggiormente dei loro bisogni e delle loro priorità;
- rafforzare il ruolo e la posizione della società civile nei processi di sviluppo;
- favorire lo sviluppo sociale ed economico - duraturo ed equo - attraverso la partecipazione.
A livello internazionale la cooperazione si svolge su moltissimi livelli: sociale, militare, scientifico, industriale, politico e così via. La cooperazione a cui si farà riferimento in questo lavoro ha uno scopo preciso: promuovere lo sviluppo sociale ed economico dei Paesi in Via di Sviluppo (Pvs) ed alleviare le sofferenze delle popolazioni vittime di guerre o calamità naturali.
I caratteri distinti della cooperazione decentrata possono essere racchiusi in quattro categorie, ossia:
- la Partecipazione;
- la Territorialità;
- il Carattere Riflettente e il Principio di Equità.
Nell’analisi degli strumenti della cooperazione si comprenderà meglio in che modo tali fattori devono essere individuati, analizzati e concretizzati. Conviene, dunque, resistere alla tentazione di etichettare rigidamente un fenomeno multiforme; ciò potrebbe indurre a disconoscere il valore e il potenziale di crescita di un universo variegato che va da micro-iniziative a carattere esclusivamente localistico e settoriale, a programmi molto vasti che prevedono piani di raccordo e coordinamento tra aree territoriali di due o più Paesi. Di fatto, la cooperazione decentrata si concretizza in diversi modi e con diversi gradi di approssimazione alla definizione teorica che si è data.
Lo strumento e l’assetto operativo, a cui si fa riferimento quando si parla di cooperazione decentrata, è il Processo di Progettazione.
Il processo di progettazione si distingue in fasi e si fonda su un approccio integrato alla programmazione e gestione di programmi complessi, noto, a livello internazionale, come Project Cycle Management (PCM)3. Questo complesso di metodologie e tecniche è adottato da numerose organizzazioni e istituzioni come "standard di qualità" per una maggiore efficacia nella programmazione e nella gestione di progetti e programmi.
Gli strumenti del PCM (alberi dei problemi e degli obiettivi, analisi dei punti di forza e di debolezza, quadro logico, livelli della valutazione) non risolvono tutte le difficoltà nel disegnare e gestire progetti, che puntano più a promuovere processi, che non a realizzare opere. Da questo punto di vista, il PCM ha degli evidenti limiti, che sono legati a una certa natura "ingegneristica" dello strumento. Le tecniche e i metodi del PCM devono, quindi, essere integrati da altri strumenti, legati all’analisi sociale, economica e culturale, e da una capacità di analizzare in modo continuo i processi, i loro limiti, le contraddizioni che sorgono e le possibilità che si aprono nel corso della realizzazione. Il progetto deve quindi essere considerato come una realtà dinamica, capace di adeguarsi e modificarsi nel tempo pur di raggiungere i suoi obiettivi strategici.
I legami, tra le caratteristiche strutturali del progetto e le peculiarità del contesto sociale, rafforzano la visione secondo cui, nel ciclo di vita del progetto di sviluppo, coesistono elementi di certezza e fattori apparentemente "irrazionali"4 ed imprevedibili.
Ciò pone delle questioni fondamentali:
- l’assoluta rilevanza della comprensione di ogni carattere (sociale, culturale, economico, politico, ecc.) del contesto;
- l’esigenza di cogliere, senza pregiudizi, i bisogni e le priorità dei beneficiari mediante approcci partecipativi;
- la necessità di valutare i progetti di sviluppo non affidandosi soltanto ad universali classificazioni fondate su univoci parametri, ma cercando di recuperare anche le aree solitamente lasciate all’intuizione.