L’organizzazione operativa del terzo settore
I soggetti del terzo settore debbono esprimere forme organizzative e operative specifiche onde poter attuare la propria "missione". Su questo punto non c’è ancora molta chiarezza. Infatti, la gran parte degli studi organizzativi, di solito, svolgono la loro analisi applicando al terzo settore vuoi gli schemi delle aziende di mercato, vuoi gli schemi delle organizzazioni burocratiche pubbliche, per poi procedere a deduzioni "comparative".
Chi studia l’organizzazione operativa del terzo settore, piuttosto che prendere come pietra di paragone le aziende di mercato e le loro reti, oppure servizi statali e le loro reti, ha maggiori possibilità di comprensione se si riferisce alle organizzazione dei gruppi sociali secondari (è opportuno richiamare l’opera classica di Cooley, 1963). Nel campo del terzo settore, non bisognerebbe mai dimenticarlo, è in gioco il concetto di "presa in carico della comunità da parte della comunità", e perciò la rete sociale va interpretata non come insieme di linee e di punti ma come un continum.
Nel complesso, la valutazione di come un’organizzazione operativa di terzo settore si struttura e funziona (la valutazione della relazione fra intenti e risultati) deve affidarsi a criteri che in parte saranno quelli stessi del soggetto di terzo settore e in parte quelli di un altro. In ogni caso, l’organizzazione implica dei dilemmi culturali e strutturali; se, ad esempio, si tiene presente che il primo e principale criterio di operatività per il terzo settore è costituito dal continum informale/formale, allora si vede che il problema, e il paradosso, di fondo del terzo settore consiste in questo che per raggiungere i propri obiettivi deve adottare gradi più elevati di formalizzazione, ma, quanto più si formalizza, tanto più perde quelle connotazioni relazionali che ne assicurano lo spirito, la mission, le motivazioni.
In un certo senso, per il terzo settore l’ottimizzazione organizzativa non consiste nell’interesse più profittevole o nel farsi carico di eseguire norme legislative, bensì nel trovare un proprio punto di equilibrio dinamico, processuale, fra risultati e risorse umane, tenendo conto del fatto, da un lato, un eccesso d’informalità comporta una rinuncia o la mancanza di crescita in professionalità (ovvero di mentalità professionale e tecnologica) e, dall’altro, un eccesso di formalizzazione comporta l’ingresso in logiche di rigidità e di spersonalizzazione che producono deficit motivazionale e di senso nei membri.
- Introduzione
- Contesto storico di riferimento
- Nascita e sviluppo dello "Stato del benessere"
- La tradizione volontaria
- Il volontariato: una nuova area culturale
- Il terzo settore
- La Composizione del Terzo settore in Italia: Tipologia delle organizzazioni.
- Il confronto
- Spunti di riflessione
- Bibliografia