Il volontariato e la legislazione del terzo settore
Negli anni settanta, il periodo in cui il volontariato inizia ad acquisire, con maggiore consapevolezza e determinazione, una sua piena coscienza sociale e politica, nessuna legge nazionale o a livello nazionale solo tre leggi contengono alcune disposizioni che permettono di cogliere almeno in parte, che cosa il legislatore intendesse quando fa riferimento al volontariato, e precisamente:
- la legge del 15 dicembre del 1971, n.1222, sulla cooperazione tecnica con i paesi in via di sviluppo;
- la legge del 22 dicembre 1975, n.685, sulla disciplina e la prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza;
- la legge n.833/1978, istituita dal servizio sanitario nazionale.
Ciascuna delle leggi richiamate considera, nell’attività volontaria essenziale l’assenza di ogni finalità di lucro come l’acquisizione di una preparazione personale che renda questa idonea allo svolgimento del servizio richiesto e prestato.
La mancanza di una normativa generale di riferimento, rende di conseguenza a livello regionale sempre più evidente e attuale il rischio di creare "quel vestito di Arlecchino", conseguente ad un’attività legislativa troppo disomogenea.
Ma è l’esperienza concreta del volontariato stesso, i problemi e le difficoltà da questo incontrati nello svolgersi del suo impegno quotidiano e nel suo rapporto con le amministrazioni regionali e locali, che viene gradatamente a chiarire i contorni del problema e a suggerire l’opportunità di un intervento legislativo.
Fra il 1981 e il 1989 molte regioni, infatti, dopo aver atteso invano un indirizzo del parlamento, provvedono nel quadro della propria autonomia normativa e affrontano il tema del volontariato o con un’apposita legge o in quelle di riordino dei servizi socio-assistenziali.
Le leggi regionali, ormai una quindicina, risentono, però delle modalità della loro emanazione e appaiono quanto mai contraddittorie e spesso anche di difficile comprensione.
E’ per chiarire tale ambiguità che Nicolò Lipari, giurista e studioso del volontariato decide di presentare nel 1984 una proposta di legge-quadro per regolamentare il fenomeno. Una legge-quadro indica sostanzialmente un quadro normativo di principio, fatto d’indirizzi per la legislazione sub-statale (regioni e provincie) e di criteri e procedure che, pur essendo di carattere generale o di "principio", hanno il potere vincolante che deriva loro dall’essere sanciti con legge.
Una legge-quadro come tale è quindi una scelta legislativa che non dovrebbe né imbrigliare o bloccare l’originalità del fenomeno cui si riferisce, né determinare condizionamenti. L’iter travagliato di queste proposte di legge è determinato dalla presenza di due opposti schieramenti.
Da una parte si trova chi, pur ritenendo il volontariato, un fenomeno positivo in sé, considera necessaria, perché questa possa organizzarsi e svilupparsi, una forte centralizzazione e prevede a questo scopo un finanziamento alle associazioni, approvato dal governo, un sistema di controllo centrale che non valorizza certo la tanta proclamata autonomia delle regioni.
Dall’altra si evidenzia sempre più chiaramente un secondo orientamento, condiviso da larga parte del volontariato, e in linea con la cultura da questo maturata ed espressa, che punta viceversa a rafforzare un volontariato organizzato, certamente anche a livello centrale, ma soprattutto volto a privilegiare il livello locale e, all’interno di questo, l’auto-progettualità dei gruppi.
Il cammino per arrivare a una normativa di quadro sul volontariato, come da questa breve premessa appare evidente, non è stato certo facile né indolore ed è per questo che non poche perplessità e sorpresa ha destato l’unanimità della sua approvazione.
- Introduzione
- Contesto storico di riferimento
- Nascita e sviluppo dello "Stato del benessere"
- La tradizione volontaria
- Il volontariato: una nuova area culturale
- Il terzo settore
- La Composizione del Terzo settore in Italia: Tipologia delle organizzazioni.
- Il confronto
- Spunti di riflessione
- Bibliografia