Infibulazione e mutilazioni dei genitali femminili
Occorre premettere che per infibulazione (il termine letteralmente significa "tagliare all’intorno") s’intende la più devastante forma di mutilazione genitale femminile che consiste nella rimozione della clitoride, delle piccole labbra e di almeno due terzi della parte anteriore.
I due lati della vulva vengono poi suturati con punti di seta, con spine o quant’altro disponibile, fino a lasciare solo un piccolo foro, mantenuto aperto mediante l’inserimento di un sottile pezzo di legno o di una canna per consentire il passaggio dell’urina o del sangue mestruale.
Vengono eseguite altre forme di mutilazione genitale femminile: la circoncisione che consiste nell’ablazione del cappuccio della clitoride, con lieve fuoriuscita di sangue e l’escissione che prevede la rimozione integrale della clitoride e di tutte, o di parte, delle piccole labbra.
In alcuni casi, dopo l’asportazione della clitoride, vengono graffiate le pareti vaginali con strumenti rudimentali o con un pezzo di vetro o uno schiacciapatate poi, affinché le pareti vaginali si chiudano, alle bambine vengono legate le gambe.
Queste pratiche spesso vengono associate alla fede islamica ma, in realtà, affondano le radici in usanze ancestrali e tribali. La mutilazione genitale femminile è, infatti, diffusa in società di religione islamica, cattolica e politeista.
L’area geografica interessata comprende più di 30 paesi, principalmente appartenenti al continente africano, Burkina Faso, Benin, Camerun, Ciad, Costa d’Avorio, Egitto, Eritrea, Etiopia, Gambia, Ghana, Gibuti, Guinea, Guinea Bissau, Kenya, Liberia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Repubblica Centro Africana, Repubblica Democratica del Congo, Senegal, Sierra Leone, Somalia, Sudan, Tanzania, Togo, Uganda, quindi gli Emirati Arabi, lo Yemen, alcune popolazioni dell’Indonesia, della Malesia, dell’India e del Pakistan).