Per un servizio sociale trasformativo: approccio dell’agency e narrazione
Note di testo
1 | Articolo edito su Rassegna di Servizio Sociale n.4 2006. Clayton S. (1983), "Social need revisited", Journal of Social Policy, vol. 12, n. 2, 215-34. |
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2 | Smith G. (1980), Social need: Policy, practice and research, London: Routledge & Kegan Paul. | indietro |
3 | Kemshall H. (1986), Defining client’s needs in social work, Norfolk: Norwich, Social Work Monographs. | indietro |
4 | Con reticolo sociale (social network) ci si riferisce alla complessa trama di relazioni, generalmente faccia a faccia (nexus, Speck e Attneave 1976), in cui le persone si trovano a essere e che forniscono loro sostegno sociale (social support). Tali relazioni sono così definibili quando le persone condividono Tempo, Intimità, Emotività e scambiano Servizi - TIES (acrostico): nodo (Granovetter 1973) - e costituiscono la risorsa principale e più accessibile che ciascuno di noi ha a disposizione. Ricordo, comunque, che sia "rete sociale", sia "sistema", appartengono a un dominio cognitivo e non ontologico - mondo 2 (Marradi) o realtà di second’ordine (von Foerster): «...chiamo sistema un insieme di parti che io vedo differenti e unite in un insieme» (Manghi 1992, 14). | indietro |
5 | Cfr. Meo (2000, 31, note 34-35): «Parliamo qui, in termini generali, di capitale sociale, ma... faremo riferimento a specifiche risorse relazionali che possono essere considerate componenti del capitale sociale. Oltre alla fiducia [...] parleremo per esempio di sostegno sociale, definito come l’aiuto materiale, informativo ed emotivo che è possibile scambiare nelle reti sociali... Il concetto di capitale sociale, nell’accezione in cui lo intendiamo, si compone di due dimensioni analitiche: il patrimonio di relazioni di cui dispone l’individuo, ovvero la sua rete sociale con certe caratteristiche strutturali o morfologiche (ampiezza, densità, etc.) e le capacità individuali, nel senso di Sen (1982, trad. it. 1986), di fruire delle risorse relazionali ovvero di utilizzare i legami per i propri scopi. Alla luce delle caratteristiche proposte da Bauman per la modernità, l’utilizzo del termine "capitale" (sociale) mi sembra improprio alla sua natura (Solow 1999); infatti esso fa pensare alla possibilità di un’accumulazione e quindi di una sorta di provvista che non si consumi nell’uso (Coleman 1994, 175). La continua generazione/obsolescenza di identità e di rapporti a cui ci costringe l’individualizzazione nella modernità "liquida", «il disfacimento e la decomposizione dei legami umani, delle comunità e delle unioni [... che] tendono a essere considerati e trattati come cose da essere consumate, non prodotte; sono soggetti agli stessi criteri di valutazione di tutti gli altri oggetti di consumo» (Bauman 2000, 189-90), e la constatazione che «la società contemporanea vive di risorse integrative che provengono dal passato e che consuma, mentre è problematica la sua capacità di ricostituirle» (Bagnasco 2003, 28; Sennett 1998) suggeriscono l’idea, invece, di una corrosione continua a cui è esposto il "capitale" sociale e quindi della correlata e necessaria generazione continua di legami/risorse, più simile per metafora a quella rappresentata dalla talpa elettrica citata da Bauman (2002, XXII), «l’osannata invenzione dei primi anni della cibernetica [...]: una spina a rotelle che si trascina alla disperata ricerca di prese di corrente cui collegarsi». | indietro |
6 | La dignità delle persone è connessa al considerarsi e all’essere considerate come competenti per la propria vita nel padroneggiamento delle proprie scelte e ciò è il presupposto del rispetto di sé e del rispetto che riceviamo dagli altri (Sennett 1998 e 2003). | indietro |
7 | Cfr. l’etimo dal latino salus, -utis, astr. arc. di salvus e di salvere: che sottolinea l’interezza e l’integrità. Si confronta esattamente con forme indo-iraniche e osco-umbre; sans: sarva = integro; sarvatati = integrità. | indietro |
8 | Cfr. Fiona Williams (1999), "Good-enough principles for welfare", Journal Social Policy, 28:4, 667-87. | indietro |
9 | Hunter E. (1991), "Out of sight, out of mind - 1: emergent patterns of self-harm among Aborigenes of remote Australia", Social Science and Medicine, 33:6, 655-9; Brock P. (1993), Outback Gettos: Aborigenes, Institutionalization and Survival, Cambridge: Cambridge University Press. | indietro |
10 | Il termine "resilienza" è stato utilizzato per la prima volta da E. Werner (1982) nel 1955, in uno studio longitudinale in cui esaminò 698 neonati nati nell’isola di Kauai (Hawai) e ne seguì le vite per trent’anni: «Di questi, 201 presentavano elevate possibilità di rischio per il futuro a causa di nascite difficili, miseria, situazioni familiari caratterizzate da alcolismo, violenze, litigi, malattie mentali. Quasi i due terzi di questi bambini, a dieci anni, presentavano serie difficoltà di inserimento sociale. A diciotto anni molti di loro compivano atti di delinquenza» (Malaguti 2003, 67). Contrariamente alle aspettative dei ricercatori che si attendevano un numero maggiori di vite "difficili", più di un terzo dei bambini «cresceva senza difficoltà, era in grado di sviluppare relazioni stabili, trovarsi un lavoro e affinare la capacità di aiutare gli altri. [...] nonostante la sofferenza, è possibile intraprendere una strada capace di una riorganizzazione positiva» (ivi). "Resilienza" indica questa capacità di "resistere" nell’esposizione a insulti derivanti dalla deprivazione, dall’abbandono, da eventi straordinari o estremi. S. Vanistendael (1994) definisce la resilienza come «la capacità che consente a una persona, o a un sistema sociale (famiglia, comunità), di riuscire a vivere e a svilupparsi positivamente, in maniera socialmente accettabile, e ciò, nonostante il darsi di gravi forme di stress o di condizioni di vita particolarmente avverse, che comportano di per sé un elevato rischio di fallimento» (ibidem, 70). | indietro |
11 | Le «politiche della vita» si declinano in superamento delle «politiche dell’emancipazione». Le prime mirano a valorizzare le potenzialità delle professioni sociali anche in senso radicale, quindi superando l’ottica assistenzialistica, ma andando nel contempo al di là della visione, semplicistica e "strutturalista" oltre misura, delle così dette "politiche dell’emancipazione". Al cuore delle politiche della vita in un ordine sociale post-tradizionale, si scorgono nuovi tipi di relazionamenti tra dimensione personale e dimensione politica, tra saperi "esperti" e saperi "profani". In questo quadro i saperi professionali degli operatori sociali si configurano come una sorta di "metodologia dei progetti di vita" (methodology of life planning, Ferguson 2001, 41). | indietro |
12 | Il tempo, dimensione "naturale" della vita, entra nei nostri sistemi disciplinari di trattamento, così come nella cura, con senso negativo: tutto ciò che non si risolve entro una scadenza periodizzata e prevista diventa "cronico", senza speranza, senza merito di attenzione (vedi, p. es. la scarsa importanza data nel nostro paese alla terapia del dolore e alle cure palliative, solo da poco tempo e ancora inadeguatamente riproposte all’attenzione sia del legislatore, sia dei sistemi di cura). Il tempo, d’altra parte, è proprio il giardino in cui le persone possono fiorire: il tempo, nell’apertura al caso dell’incontro. | indietro |
13 | Parton N. (1996), "Social work, risk and the blaming system", in Parton (a cura di), Social theory, social change and social work, London: Routledge. | indietro |
14 | Per una review della produzione letteraria italiana cfr. Massinelli F. (1996), Breve excursus storico sulle definizioni di servizio sociale e assistente sociale attraverso i principali testi pubblicati dagli anni ’50 a oggi, tesi di laurea, Università degli Studi di Perugia. | indietro |
15 | Cit. in Campanini A. (1999), Servizio sociale e sociologia: storia di un dialogo, Trieste: LINT. | indietro |
16 | In Campanini (1999, 23). | indietro |
17 | Cfr. Giraldo S. e Riefolo E., (1996), a cura di, Il servizio sociale: esperienza e costruzione del sapere, Milano: FrancoAngeli. | indietro |
18 | Una cosa è proporre come oggetto del servizio sociale le relazioni sociali viste come spazio «virtuale» (la relazione come fatto sociale), altra cosa è proporre un approccio relazionale al soggetto e all’oggetto dell’intervento sociale (il fatto sociale come relazione); cfr. Donati 1994, 90. | indietro |
19 | Cfr. Colaianni L. (2004), La competenza ad agire: agency, capabilities e servizio sociale. Come le persone fronteggiano eventi inediti e il servizio sociale può supportarle, Milano: Franco Angeli. Il libro tratta di una ricerca qualitativa condotta con i metodi della grounded theory, svolta nel corso del dottorato di ricerca in servizio sociale - XVI ciclo - presso l’Università ROMATRE. | indietro |
20 | AA.VV. (2005), Dentro la professione verso possibili consensi, Albano U., Capo C., Cava F. (a cura di), Roma: Editrice SOCIALIA. | indietro |
21 | Conferenza telematica (www.serviziosociale.com - asitforum [AT] it.groups.yahoo.com tematizzata sugli issues dell’intervento sociale professionale. | indietro |
22 | Un aforisma dice: «I fatti hanno sempre ragione: vai a capire quali...» | indietro |
23 | Definizioni tratte dalla sintesi del gruppo di lavoro sulla valutazione dell’efficacia del trattamento delle persone in esecuzione penale, nell’ambito del progetto "Dopo Chirone" (2005) condotto da Gian Piero Turchi, per conto del PRAP Lombardia, 2002-2003. | indietro |
24 | «Gli aspetti delle cose che per noi sono i più importanti risultano nascosti per la loro semplicità e familiarità; siamo incapaci di vederli proprio perché stanno sotto il nostro naso» Wittgenstein L. (1968), Philosophical Investigation, New York: Macmillan, p. 129: il linguaggio è «l’incantesimo, ma anche ciò che dobbiamo usare per scioglierlo» Staten H. (1984), Wittgenstein and Derrida, Lincoln: University of Nebraska Press. | indietro |
25 | «I "fatti" hanno a che fare con il problema, non con la soluzione» (Wittgenstein TLPh, 4.321). | indietro |
** Dottore di ricerca in servizio sociale, assistente sociale specialista, è perfezionato in alcologia. Insegna Metodi e tecniche del s.s. presso il ClaSS dell’UNITO, presso il corso di laurea in Servizio sociale della LUMSA di Roma e della Libera Università di Bolzano; collabora con il Dipartimento di Scienze sociali dell’UNITO. È referente per il gruppo di ricerca italiano del DANASWAC (Discourse and Narrative Approaches to Social Work and Counselling).
Per un servizio sociale trasformativo
- Introduzione
- L'idea di azione in Hannah Arendt
- Le "capabilities" secondo A. Sen e M. Nussbaum prima parte
- Le "capabilities" secondo A. Sen e M. Nussbaum seconda parte
- Unitarietà del soggetto e consapevolezza, ovvero dell'ambiguità del soggetto
- Consapevolezza e «modernità liquida»: la forma dell'acqua
- Verso un servizio sociale trasformativo
- L'oggetto del servizio sociale prima parte
- L'oggetto del servizio sociale seconda parte
- La necessità di uno scarto paradigmatico: l'approccio discorsivo
- Un modello per la pratica
- I vantaggi derivanti
- Conclusioni
- Bibliografia
- Note di testo